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      U’ PIGNATIELL 
      Il pignatiello è una specie di 
      pentola in creta, simile ad un piccolo orcio, con bocca larga ed intorno 
      al collo vi sono due ampi manici per la presa. 
      Oggi è raramente usato in quanto per 
      cuocere i  
      cibi è necessario che venga riposto 
      nel focolare, a fianco alla brace, per alcune ore. 
      Veniva usato principalmente per la 
      cottura dei fagioli, sia quelli in bianco, da mescolare alla pasta e sia 
      di quelli con salsa di pomodoro ed alcune verdure, che si consumano 
      accompagnati da pane biscottato, cotto nel tradizionale forno a legna. 
      In genere la cottura deve essere 
      lenta e non tumultuosa, con un tempo medio di cottura di circa quattro ore 
      ma può essere lasciato accanto al fuoco ancora per molte ore ed in tal 
      caso il sugo si asciuga lentamente diventando sempre più cremoso. 
      Per ottenere un piatto di fagioli 
      particolarmente prelibato è necessario innanzitutto saper scegliere i 
      fagioli più adatti; la varietà migliore da usare è quella simile ai 
      cannellini ma leggermente più corta e più tondeggiante (a Sieti vengono 
      chiamati “i fagioli dei pali” cioè quelli rampicanti, piantati in solchi, 
      irrigati con l’acqua pura dei ruscelli montani, sostenuti da paletti di 
      frassino o castagno oppure piantati vicino ai tronchi delle piante di 
      nocciolo; in questo caso, la raccolta viene effettuata dopo quella delle 
      nocciole, quando la pianta ha perso le foglie e restano i lunghi baccelli 
      appesi ai rami); per chi vuol concedersi poi un gusto veramente unico, in 
      alcuni negozi si possono trovare, ma al prezzo di 6-8 euro al kg., anche 
      quelli ormai rari di Controne oppure i “mostaccioli” (questi ultimi sono 
      pure di colore bianco ma hanno una piccola macchia marrone intorno al 
      germoglio). 
       N.B. Per chi dispone di un camino a 
      legna e vuole cimentarsi in questo singolare tipo di cottura, basta 
      acquistare un pignatiello, tenerlo completamente immerso in un recipiente 
      pieno di acqua, possibilmente in piedi in modo che lo stesso non galleggi, 
      per almeno 24 ore  dopodiché tutta la superficie ed il fondo devono essere 
      sfregati con l’aglio; questo accorgimento serve a limitare le possibilità 
      che il recipiente, con l’altissima temperature del fuoco vivo, si spacchi; 
      altro accorgimento è quello di non toglierlo subito dal focolare a cottura 
      ultimata ma spostarlo un poco più lontano dal fuoco per evitare eccessivi 
      sbalzi termici. 
       RICETTA PER 4 PERSONE: 
      Mettere a bagno in una bacinella, per 
      3-4 ore, circa 500 grammi di fagioli; gettare l’acqua e risciacquare i 
      fagioli (che saranno leggermente aumentati di volume) sotto l’acqua 
      corrente. 
      Metterli in un pignatiello della 
      capacità di 2-3 litri di acqua; aggiungere un pugno di pomodorini ed un 
      barattolo di pomodori pelati oppure, un barattolo di pomodorini di Corbara 
      o Pachino; se si desidera una salsa più rossa e più densa, aggiungere un 
      bel cucchiaio di concentrato di pomodoro e 3-4 cucchiai di olio 
      extravergine di oliva. 
      Tagliare a pezzettini un bel gambo di 
      sedano ed una piccola cipolla. 
      Aggiungere acqua fino a 4-5 
      centimetri al di sotto del bordo superiore, coprire la bocca del 
      pignatiello con un coperchio di creta che circondi il bordo (in mancanza 
      di un coperchio adatto, si può usare un piattino da caffè oppure da thè) 
      controllare ogni tanto che non manchi la legna e mantenere le fiamme ad 
      una ventina di centimetri dal coccio. Il sale, a piacere, va aggiunto solo 
      a fine cottura.………..BUON APPETITO!   
      Salvatore Cingolo  
       
      
      
        
       
        
      
       
      MALLONE  E PATATE
      
       Questa ricetta è stata 
      eseguita, davanti alle telecamere di LI.RA. TV il giorno     gennaio 2003 
      dalle signore: 
      
       Aida CARMANDO in Giannattasio 
      ed Antonietta GRANOZIO vedova Pecorale 
      
       Raccogliere in campi non 
      trattati con antiparassitari, (o acquistare da un fruttivendolo di 
      fiducia) un misto di erbe spontanee quali foglie di cardo (80/90%) di  
      finocchietto selvatico e di borragine (10/20%). 
      
      Lavarle per bene con acqua 
      corrente e metterle a bollire in una  pentola; a cottura ultimata, scolare 
      il misto di erbe e riporlo in una bacinella piena di acqua fresca per 
      circa un ora in modo che perda un poco di sapore amarognolo; nel 
      frattempo, in un'altra pentola vanno bollite le patate; dopo la cottura, 
      prima che si raffreddino, vanno private della pellicina scura che le 
      ricopre e schiacciate, ad una ad una, con la forchetta, in modo che le 
      patate vengono schiacciate ma rimangono frantumate in piccoli pezzi ma non 
      ridotte in poltiglia. 
      
      Dopo che il mallone si è 
      spurgato (l’acqua avrà assunto un lieve colore verdastro) stringerne di 
      volta in volta una piccola quantità tra i pugni delle mani  e quando è 
      quasi asciutta, tagliarla con un coltello, ogni 2-3 centimetri, su un 
      tagliere oppure tra le mani stesse in quanto si taglia facilmente, essendo 
      già cotta. 
      
      In un tegame di opportuna 
      grandezza,  mettere a soffriggere dell’olio extravergine di oliva con uno 
      picchio di aglio; quando l’aglio diventa biondo aggiungere il mallone 
      tagliato a pezzi e rigirare ogni tanto.           
      
      Dopo qualche minuto si 
      aggiungono anche le patate schiacciate con la forchetta e si continua a 
      far cuocere, mescolando di tanto in tanto in modo da far amalgamare il 
      tutto. 
      
      Per coloro che amano il 
      peperoncino piccante, lo stesso va aggiunto all’olio ed all’aglio da far 
      soffriggere nella padella. 
      
      Per apprezzare meglio il 
      sapore, accompagnare il mallone e patate con pane cotto in forno a legna, 
      con percentuale di semola di grano duro oppure di granoturco. 
      
      A Sieti e nell’alto Picentino 
      e’ un piatto molto comune, maggiormente nei mesi invernali in quanto ben 
      si sposa con un bel bicchiere di vino rosso.   
      
      Salvatore Cingolo 
       
      
      
        
       
        
      
       
        
      L’OLIO EXTRAVERGINE DI SIETI
      
       L’olivo è oggi diffuso in 
      vastissime aree dell’intera penisola italiana. 
      
      Anticamente non era così; ogni 
      zona, a seconda delle caratteristiche del terreno, della posizione 
      geografica, dell’altitudine e dell’esposizione al sole, veniva destinata 
      ad una coltura ben precisa; oggi si coltiva quasi fino a ridosso della 
      spiaggia, pur sapendo che l’olio ottenuto non potrà mai essere simile a 
      quello prodotto in montagna dove le radici di alberi secolari strappano 
      quel poco di nutrimento alla roccia dando un olio più fine, più leggero e 
      con  meno grassi. 
      
      L’olio prodotto in terreni di alta collina o montagna, composti da piccole 
      scaglie di pietra frammiste a scarsa quantità di terra, ha tutto un altro 
      sapore. Le varietà coltivate a Sieti, quali la frantoio, la rotondella, il
      cippetiello, l’ogliastro (che produce pochissimi frutti ma è utile per 
      l’impollinazione) danno un frutto dal sapore  del tutto diverso  da quelle 
      piante di leccino, coratina ecc. comunemente vendute dai vivai; quest’ultime, 
      dopo 3-4 anni dalla piantagione già danno frutti in buona quantità mentre 
      una giovane pianta sopra citata fruttifica dopo oltre dieci anni. 
      
      A Sieti, dove si possono ancora 
      ammirare antichi frantoi con macine in pietra che erano azionate da bestie 
      da soma e torchi in legno ed in ferro, l’olio è stato da secoli una vera 
      cultura e la risorsa principale per molte famiglie di agricoltori. La 
      maggior parte dell’olio di Sieti, è prodotto senza trattamenti con 
      antiparassitari, con le olive raccolte  integre, trasportate in cassette e 
      non in sacchi, portate al frantoio la sera stessa del raccolto, nel 
      frantoio con macine in pietra e sistema di separazione a freddo. 
      
      A Sieti, un antico proverbio 
      diceva: il vino si fa anche con l’uva! 
      
      La percentuale di acidi grassi 
      varia a seconda dell’altitudine e della composizione del terreno; 
      altissima nei terreni argillosi e compatti, decresce, fino a raggiungere 
      il massimo della qualità e minimo di grassi nella fascia al limite della 
      coltivazione  e cioè intorno ai 700-800 metri di altitudine, tra le rocce. 
      L’olio 
      di Sieti è prodotto tra i 400 ed i 700 metri e già tra l’altitudine minima 
      e quella massima cambiano le qualità organolettiche. 
      Più in 
      alto è ubicato l’oliveto, più non servono anticrittogamici poiché a causa 
      del freddo durante la notte, anche d’estate, la mosca olearia ed il verme 
      preferiscono le zone più basse, più calde e quindi, l’olio prodotto in 
      alta collina o montagna è senza dubbio il più saporito e naturale, come 
      mille anni fa. 
      
      Inoltre, in molte zone, in Italia ed all’estero, le piante vengono 
      irrorate con prodotti che fanno maturare le olive in pochi giorni 
      dopodiché cadono nelle reti, facendo risparmiare parecchia mano d’opera ma 
      tutti questi veleni si fermano in un filtro particolare, il nostro fegato. 
      Purtroppo, 
      pochissime persone conoscono questi particolari……….. 
      Salvatore Cingolo 
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